Il rebus dei consulenti

Andare cauti con l'inserimento di consulenti in azienda. A volte
molto meglio avere dei managers con le conoscenze adeguate
I consulenti servono o non servono? In quali circostanze bisognerebbe portarli in azienda e che cosa dice la loro presenza in merito alle competenze professionali dei dipendenti aziendali?

Certo, queste domande sono volutamente provocatorie, un po' come chiedersi se i medici servono o non servono. La risposta è che ce ne sono di bravi e di cattivi, ma in un caso o nell'altro vogliamo frequentarli il meno possibile.

Il problema dei consulenti è che sono fondamentalmente (ma sotterraneamente) in contrapposizione con i manager con cui dovrebbero lavorare.

Vogliono entrare in azienda, risolverne il problema e poi continuare a rimanerci, risolvendo altri problemi, per sempre.

I manager vogliono che i consulenti arrivino, risolvano in fretta quel problema specifico e se ne vadano, per sempre.

La tensione tra questi obiettivi contrapposti è ciò che rende intrisicamente problematico

l'utilizzo dei consulenti.

Esistono, naturalmente, casi in cui i consulenti sono estremamente utili. A volte l'azienda ha bisogno di una prospettiva originale per valutare una vecchia strategia o un nuovo prodotto. A volte l'azienda non ha all'interno le competenze necessarie per prendere una decisione informata.

Oggi, per esempio, le banche di investimenti usano molto efficacemente i consulenti per ottenere una valutazione tempestiva dei mercati e dei settori oggetto di potenziali acquisizioni.

Ma la parola d'ordine da usare con i consulenti è "cautela". Prima che noi ce ne accorgiamo, saranno lì a portare avanti la routine aziendale. In fondo è quello che vogliono, anche se tu non lo vuoi.

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